VAJO

ARALDICA

L’ origine di questa pelliccia nell’ armi ci è dottamente riferita dal Du Cange nelle sue dissertazioni sulla cronaca di Joinville.

Tutti gli autori si accordano nel dire che il vajo fu una delle foderature più ricche e preziose di cui si decorassero i grandi signori nel medio evo.

Cesare Vecellio descrivendo gli abiti d’Ordelaffo Faliero, doge di Venezia nel 1085 dice:

“Il manto dunque era di seta fregiato d’oro, et foderato di varie pelli, che in quei tempi erano di grandissima stima, et di qui nasce che l’armi et l’insegne di molte famiglie nobili, fanno oltre le altre cose queste pelli, che chiamano vari, et perciò si vede, che l’antichi pittori qualunque volta volevano ritrar qualche gran personaggio di Autorità lo dipingevano ordinariamente con un manto fodrato di queste pelli”.

La maggior parte degli autori scrivono che il vajo non è altro che una pelliccia composta di pezzetti di pelle d’armellino e di quella d’un animale, detto dai Francesi gris; questi pezzetti essendo ritagliati artisticamente a triangoli rappresentano la figura di diverse campanelle rovesciate le une contro le altre; al bianco fu sostituito l’argento, al grigio l’azzurro, colore araldico che, più si assomiglia a quello.

Aggiungono alcuni scrittori che il nome divario e vajo fu dato appunto a questa pelliccia per la sua varietà di colori.

I Babilonesi sembrano essere stati i primi ad inventare le pelli variate; il Du Cange sostiene anzi che furono gli inventori del vajo, composto di pelo d’armellini e di gris.

Monet nel suo inventario delle due lingue scrive che:

« Vair est une espèco d’écurieu de poil tirant sur le colombin par le haut du corps, et blanc sous le’ ventre; dont la peau, seri de fourrures aux manteaux des rois, laqueìle on diversifie en quarreaux et tavellures de colombin et de blanc, ores de plus grand, ores de moindre volume, qu’on appello grand vair ou petit vair ».

Giovanni Le Laboureur nella relazione del viaggio della regina di Polonia, dice che il minuto vajo, di cui i re e i grandi portavano altre volte le foderature, è tratto da pelli di martore zibellino e di rats musquez che trovansi nella Moscovia.

Noi però ci atteniamo all’opinione dell’erudito Du Cange, il quale così si esprime:

“J’estime quo cos animaux ne sont au­tres quo le gris, quo le juif Benjamin, sui. vant la traduction d’Arias Montanus, appello d’un seul mot veergases ou vairsgris, écrivant qu’il s’en trouvo un grand nombre dans les forests de Boheme”

Regio omnis montosa est, silvisque frequentissima in quibus animalia illa inveniuntur, quae veergases dicuntur, eaedemque zibellinae dictae”.

Vi era però una differenza fra il vajo e il gris, come si rileva da varie ordinanze dei re di Francia; il gris era tutto unito, mentre il vajo era composto di vari pezzetti come già detto.

Il P.Anselmo ed altri araldisti opinano che il vajo sia stato introdotto nell’arme dai Coucy al tempo delle crociate; comunque sia, il vajo si trova figurato in un gran numero di scudi gentilizi, benchè in verità era meno usato dell’armellino.

Ove più appare è nel blasone francese; in Italia e in Inghilterra vi è meno frequente; raro in Spagna, più ancora in Germania.

Simboleggia preminenza d’onori, dignità ragguardevole e gran nobiltà.